[image img=”http://celioazzurro.org/wp-content/uploads/2011/06/piedini_colorati1.jpg” url=”http://celioazzurro.org/wp-content/uploads/2011/06/piedini_colorati1.jpg” lightbox=”true” align=”left” rel=”gallery” alt=”Arte e gioco al Celio Azzurro”]
Come lavoriamo
Al Celio Azzurro non ci sono classi ma piccoli gruppi divisi per fasce d’età, tre, quattro e cinque anni. Ogni gruppo conta circa quindici bambini e ha due educatori di riferimento: un uomo e una donna. La presenza di figure maschili – la metà degli educatori lo è – è di grande valore per i bambini che hanno la possibilità di confrontarsi con più figure di riferimento e sperimentare diverse modalità di gioco e di relazione.
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Ogni anno il centro accoglie circa cinquanta bambini di lingua e provenienza diversa, che si muovono tra le stanze e il giardino della scuola con la stessa sicurezza con la quale ci si muove a casa propria. Della loro scuola del resto conoscono ogni angolo, perché la abitano per gran parte dell’anno, anche d’estate, quando le altre scuole chiudono, e sentono che quelle stanze e quel giardino appartengono anche a loro.
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L’educazione interculturale
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Ieri sera entrò il Direttore con un nuovo iscritto, un ragazzo di viso molto bruno coi capelli neri, con gli occhi neri, con le sopracciglia folte, tutto vestito di scuro e se ne uscì lasciandogli accanto il ragazzo, che guardava noi con quegli occhi neri come spaurito. Il maestro gli prese la mano e disse alla classe: «Siate contenti, perché oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio Calabria a più di cinquecento miglia da qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto da lontano»
– Il ragazzo calabrese, Cuore, Edmondo De Amicis
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C’è una parola difficile da pronunciare che ritorna spesso nel lavoro del Celio Azzurro: intercultura. È una chiave di lettura attraverso cui interpretare i cambiamenti della nostra società, è un esercizio quotidiano alla sensibilità e soprattutto al desiderio di conoscere l’altro.
L’intercultura riguarda tutti ed è per tutti.
Così al Celio Azzurro le mamme e i papà vengono invitati a condividere la loro storia, per raccontare ai bambini qualche episodio importante della loro vita, cucinare piatti tipici del loro paese d’origine, riproporre i giochi con i quali si divertivano da bambini.
I vissuti e le esperienze dei genitori appartengono spesso a mondi culturalmente molto lontani; questa varietà offre ai bambini la possibilità di confrontare, conoscere e apprezzare modelli diversi dai propri e identificarsi o meno con essi. Il racconto in prima persona, le emozioni evocate dalla memoria, la possibilità di immedesimazione costituiscono per il bambino un forte stimolo all’apprendimento, e suscitano una curiosità viva nei confronti di quanto hanno sentito e sperimentato. I luoghi d’origine non rischiano più di essere vissuti come pura astrazione stereotipata ma vengono riempiti da tutti questi “angoli” della memoria, dei sensi, degli affetti, dei sogni, che costituiscono la storia viva della trasmissione culturale.
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